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UN MONDO A PARTE
(A WORLD APART)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 gennaio 1989
 
di Chris Menges, con Jodhi May, Barbara Hershey (Gran Bretagna, 1988)
 
Tratto da una sceneggiatura autobiografica di Shawn Slovo, figlia della giornalista sudafricana Ruth First assassinata nel l982, UN MONDO A PARTE descrive la resistenza della militante anti-apartheid nel l963, quando il potere segregazionista usò ogni mezzo per convincerla a rinunciare alle proprie opinioni. Applicando, in particolare, il famigerato "Ninety Days Act" che permette una detenzione preventiva di novanta giorni (rinnovabili... ) senza emissione dell'atto d'accusa.

Ma il film dell'inglese Chris Menges (48 anni, uomo di teatro e documentarista in ogni parte del mondo a rischio negli anni della Bolex manuale, direttore della fotografia o montatore per Alan Forbes, Ken Loach, Lindsay Anderson, Frears, Forsyth, Joffé) è anche un film su un'adolescente: 13 anni, l'ingenuità, l'impaccio ed il sorriso dell'infanzia, e la serietà, l'improvvisa tristezza, l'irrefrenabile determinazione dell'età adulta.

La grande trovata di UN MONDO A PARTE, ciò che non ne fa soltanto un film semplice, diretto, commovente, formidabilmente interpretato dalla tredicenne Jodhi May e dalla sempre sensibilissima Barbara Hershey, è di aver denunciato la tragedia dell'apartheid attraverso la descrizione di una doppia segregazione. Non tanto quella pubblica, quella nota delle masse negre bandite dalle minoranze bianche. Ma piuttosto quella privata: di una ragazzina, attenta a ciò che le succede attorno, che si vede privata non solo della presenza della madre. Ma del proprio diritto ad un'intimità con lei: che, per proteggerla dai rischi della propria attività di militante, le nasconde affettuosamente la realtà, le nega quella confidenza che potrebbe aprirla al male. Ma anche a quel mondo adulto, che tragicamente traspare dietro l'abbaglio delle piscine e delle buganvillee eternamente fiorite, e la cui degenerazione è sempre più evidente agli occhi della giovane protagonista.

L'impegno politico e sociale della madre, quel radicalismo che la recitazione estremamente volitiva della Hershey sottolinea perfettamente, se da un lato sollecita l'identificazione degli spettatori, la propone alla nostra ammirazione, alla nostra partecipazione emotiva, dall'altro l'allontana sempre di piu dalla figliola, minando quell'armonia privata che fin dall'inizio era stata privilegiata, con grazia e delicatezza. E poiché il dramma di un solo individuo è eguale a quello di mille, è proprio questa lacerazione dell'intimo a farci partecipi in modo estremamente commosso del conflitto sociale che si svolge all'esterno.

Siamo troppo abituati alla visione della violenza, quella cinematografica e ancor più quella dei telegiornali, per aderire se non con la mente alla rappresentazione delle sbarre, delle torture, delle sommosse. Grazie ad una vera e propria disintegrazione del quotidiano, la sceneggiatura del film mette in parallelo quegli avvenimenti purtroppo già iscritti in un certo tipo di agiografia, con quelli più umili, apparentemente più banali che appartengono ad un eroismo più familiare.

Il fascino, la verità di UN MONDO A PARTE deriva in gran parte della forza della sua sceneggiatura. E non solo perché, proprio come l'interpretazione, la si sente impegnata in prima persona: ma perché filtra la visione, sempre un po' schematica del film politico, attraverso le incertezze ma anche le sfumature, le intuizioni che sono proprie della purezza di uno sguardo giovanile.

Giunto a quasi cinquant'anni al suo primo lungometraggio di finzione, Chris Menges fa tutto ciò che non si aspetta da un direttore della fotografia: non si limita mai alla semplice illustrazione, possibilmente graziosa.

Memore della propria esperienza documentarista, della delicatezza di Loach su POOR COW, della dinamica di Joffé in THE KILLING FIELDS, iscrive la propria visione in un ammirevole rigore: le scene della prigione sono girate con l'essenzialità di un documentario, e quelle in famiglia con una dolcezza che mai si abbandona, non fosse che per un istante, alla facile tentazione lacrimosa. Lo stile è diretto, di una semplicità sconcertante: la sensazione del pericolo incombente, della subdola penetrazione del potere poliziesco è ridata tenendo costantemente i personaggi incollati alla camera. Il pericolo giunge improvviso, da fuori quadro: mentre la donna telefona dalla cabina pubblica per annunciare di esser stata finalmente liberata non si vedono gli aguzzini avvicinarsi: ripresa in primo piano, è una mano che le si pone sulla spalla, una voce improvvisa che le annuncia di essere in arresto "per altri novanta giorni".

UN MONDO A PARTE non ci rivela (o non ancora) una personalità di cineasta imperioso, dallo sguardo tipato come quello di un Antonioni, di un Bunuel o di un Bergman. Ma la presenza di un film che resterà nella storia del cinema politico non solo per essere stato la prima, vera testimonianza del Sudafrica vissuta nell'intimo. Proprio come nella frase della madre in prigione alla figlia ("non piangere ora, non davanti a loro"); una lezione di come, attraverso il pudore, l'osservazione e la sensibilità di possa arrivare alla denuncia della più volgare delle violenze.


   Il film in Internet (Google)

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